Le cose rare sono le più belle, e le cose belle sono sempre rare, a volte anche nascoste. Come questo splendido album della russa Katya Yonder, sepolta tra il flusso abnorme di produzioni indipendenti su Bandcamp e timidamente venuto alla luce in qualche blog personale, un paio di mailing list di negozi di dischi illuminati e una recensione moderatamente parca su Pitchfork. Poco, troppo poco per superare la pigrizia del sedicente appassionato di musica, quasi sempre esperto solo per autocertificazione mendace. Peccato, perché Multiply Intentions è a tutti gli effetti uno dei dischi più belli di quest’anno.

Katya Yonder inizia da lontano: prima come vocalist di un’ancora oscura band indie-rock russa, i Tip Top Tellix, dove in realtà le sue parti vocali furono quasi usate senza permesso nel mix finale, figurando più come vocalist/corista che come membro attivo del gruppo. Ma il vero esordio di Katya Yonder è avvenuto con l’etichetta russa Floe, prima con l’ormai quasi introvabile cassetta in edizione limitata Motherland Landscapes del 2015, quindi con altri due album, Ost Condition (2016) e Winter Skin (2017). All’indie-rock screziato di pop nipponico degli esordi Katya Yonder è passata a ambient e soundscapes. Su Winter Skins soprattutto si può già sentire in atto la sua formazione musicale classica (Katya Yonder è una violinista formata) in sodalizio con le sue ispirazioni più contemporanee, su tutti Brian Eno.

Con Multiply Intentions Yonder passa alla tedesca Métron Records di base a Berlino e ricomincia a usare la voce, superando le paure ingiustificate di non essere all’altezza e il timore di non essere compresa appieno. Lo fa usando tutte le lingue che conosce: il russo, l’inglese il francese e persino il giapponese. Su “Invented Journey,” il pezzo in giapponese, Katya Yonder riesce a ricostruire un’idea di Giappone partendo da elementi culturali appresi di seconda o terza mano, non essendo mai stata in Giappone. È di fatto un “viaggio inventato,” costruito anche usando canti di cicale e uccelli che vivono in Giappone, strumenti musicali del folclore nipponico e elementi ripresi da certa musica giapponese e il risultato è quello di un sorprendente viaggio che da inventato sembra quasi reale. Dimostra anche come e quanto la musica riesca a costruire e modellare la realtà. Allo stesso modo “Spinning Olimpia” cuce insieme due mugham arzebaigiani con tanto di Tar e Kamancha e è un altro viaggio nella musica che nasce dall’incontro di un medioriente che guarda a occidente e un occidente di confine.

Altri elementi giapponesi sono presenti su “Pattern,” il cui testo riprende una poesia di Shuntarō Tanikawa, “Kappa,” una specie di filastrocca scelta più per il bellissimo suono delle parole che per il suo significato, o nella Sakamotiana “Mood” che sembra uscita dalla colonna sonora di Furyo, così come uscite da colonne sonore di film russi sembrano le due composizioni che introducono e concludono il disco “Intro” e “Interlude,” dedicata al marito e costruita attorno a una versione in francese di una poesia di Celan, “Die Niemandrose,” che in francese è “La rose de personne” (Avec toutes les pensées je suis sorti/Hors du monde : tu étais là/Toi, ma silencieuse, mon ouverte, et —/Tu nous reçus.). Non mancano riferimenti al pop più occidentale, “Вновь и вновь” (Vnov’ i vnov’) rimanda all’universo di Kate Bush, con i vocalizzi e gli arpeggi di synth, così come “Вглубине ночной” (Vgubline Nochnoy) è un chiaro tributo ai Cocteau Twins più eterei, e “Another Time” è una canzone pop che avrebbe potuto fare Madonna tra Madonna e Like a Virgin.

Un universo eterogeneo, eclettico, che spazia da tendenze ambient mai abbandonate e il pop in tutte le sue sfumature, da Cocteau Twins a Madonna, da Sakamoto a Kate Bush, con influenze multinazionali, dalla musica giapponese al pop in versione tedesca figlio della trilogia di Berlino di Bowie, fino a episodi più morbidi ma mai patinati o ruffiani: quello di Katya Yonder è il pop che dovrebbe essere il paradigma di pop internazionale, o almeno il pop di quando per pop si intendeva Kate Bush. Continuare a ignorare questo gioiello è da pazzi.

Solo su Bandcamp, niente Apple Music, niente Spotify né altri servizi di streaming. Esiste però un bellissimo vinile color diamante trasparente in edizione limitata, quindi: