L’ekphrasis è l’esercizio di descrivere verbalmente un’opera visiva. È uno strumento retorico usato spesso da Proust in passi piuttosto celebri della sua Recherche, e esempi recenti possono essere le opere di Gerhard Richter descrive da DeLillo sul racconto “Baader-Meinhoff” o “24 Psycho” di Douglas Gordon che sempre DeLillo usa su Point Omega, o ancora le foto di Danny Lyon usate da Rachel Kushner su The Flamethrowers  e l’arte surreale incarnatasi in realtà di The Last Days of the New Paris di China Mielville. Ma cosa succede se invece di descrivere un’opera d’arte a parole usassimo i codici musicali?  In realtà da sempre la musica cerca di dare una rappresentazione sonora della realtà, o almeno è quello che fanno ambient, drone e soundscape. Neraterræ, ossia Alessio Antoni, l’ha però fatto in un progetto tanto ambizioso quanto magniloquente, dieci tracce, ciascuna legata a un’opera d’arte tra le preferite del musicista, e realizzate con la partecipazione di una schiera di ospiti d’eccezione: Phelios, Dödsmaskin, Phragments, Martyria, Mount Shrine, Alphaxone e Leila Abdul-Rauf.

Le dieci tracce del lungo Scenes from the Sublime, uscito qualche mese fa per la lungimirante Cyclic Law, sono legate a un’opera d’arte da un doppio filo: da una parte traggono ispirazione da quell’opera, dall’altra cercano e riescono a dare una surreale descrizione sonora di quella stessa opera, incastrondole insieme in una specie di racconto lungo.  Si entra da un vicolo molto scuro,  l’opening-track, “The Last Abjurer,” legata a AA72 di Zdislaw Beksinski: la traccia sembra portarti proprio in quel vicolo oscuro al di sotto di mura che sembrano nascondere delle minacce (i teschi che adornano il muro come merletti e gli avvoltoi che volteggiano nel cielo buio là sopra). “Fate Unveil” allo stesso modo racconta benissimo i quattro pannelli che compongono il quadro di Bosch “L’ascesa del beato”: una collaborazione con Dødsmaskin che inizia con una atmosfera minacciosa—oggi diremmo post-apocalittica e distopica—per poi aprirsi (ascendere) a sprazzi melodici quasi celestiali, tanto rassicuranti quanto fragili e precari. “In Deafening Silence” (collaborazione con Praghment) è straziante e agghiacciante come il quadro di Ilja Yefimovich cui è legato: una specie di rivisitazione macabra della Pietà di Michelangelo, ma dedicato a Ivan il Terrible e il figlio. 

Per tutto il disco Neraterræ riesce a trasformare forme in altri tipi di forme, e colori in suoni, mescola ambient, drone, persino goth e metal in alcuni punti (“Thou, Demon”). Alcuni innesti di field recordings apparentemente didascalici conferiscono invece un senso di realismo macabro fin troppo avvolgente: il ticchettìo di orologi che fendono la coltre di droni sulla bellissima “The Collection of Matter and Time” (surreale come il quadro di Dalì a cui la traccia è legata) sembra dirti che il tempo continuerà a passare anche quando non resterà niente e ti fanno percepire il tempo che passa e ti distrugge, mentre le onde che ti rassicurano su “Toward Oneiric Truths” (legata a L’isola dei morti di Arnold Böcklin) non ti dicono se quella rassicurazione è la salvezza di una vita che continua o la pace di una morte che tutto annulla nel niente. 

Ancora una volta si è dimostrato che ambient e drone riescono a raccontare sensazioni e stati d’animo meglio di qualunque altro genere, soprattutto nel regime di distopia percepita che stiamo vivendo.