Eisteono due tipi di hype: una è una bolla speculativa mainstream che si concentra come un’aoreola attorno a dischi sovraesposti su scaffali a altezza occhi, e una invece più intima, profonda, meno appariscente, che riesci a vedere solo col luminol o qualche derivato simile, e è l’hype che riguarda le produzioni indipendenti. Non diresti mai che attorno a Ana Roxanne c’è una qualche hype, eppure l’anno scorso il suo primo eccellente ep ~~~ (pubblicato da Leaving Records) era finito in cima alla lista dei dischi migliori di Bandcamp, che è molto più di una rivista musicale qualunque, e non solo lì, e ora quella cassetta la trovi solo per dei quasi proibitivi 70$ su Discogs. Eppure Ana Roxanne ha ricevuto finora pochissima attenzione, anche da riviste specializzate per non parlare dell’ormai proverbiale ostinazione a ignorare le cose belle delle riviste patinate. Ora ha realizzato il suo primo album  Because of a Flower, e questo album è pubblicato da una delle migliori etichette degli ultimi trent’anni, anzi, secondo l’amministratore  unico di questo blog LA migliore senza se e senza ma: kranky. Era un approdo naturale, a ben vedere, la migliore delle strade sia per kranky, che ha sempre flirtato da lontano con ambient e affini, sia per Ana Roxanne, che nei pezzi del primo ep e nello spirito che aleggia nelle selezioni per il programma che tiene per NTS ha sempre mostrato un’affinità con le dilatazioni e gli eclettismi tra generi dell’etichetta di Chicago. 

Because of a Flower è un disco tanto perfetto e tanto curato e tanto delicato quanto lo era ~~~. Ana Roxanne lavora nei dettagli, i particolari, riesce a curare una musica che non si cura di ciò che ha intorno, e forse il miglior modo di capire chi e cosa sia e quanto sia magica, è vedere questo video, dove lei se ne sta in mezzo a una folla sparsa di persone, nel mezzo di una vita fluente  a suonare indisturbata e senza disturbare nessuno. È la vetta più alta di quella musica che per Brian Eno è musica da non ascoltare, ma che con Ana Roxanne riesce a fondersi col flusso di tutto ciò che è, era e sarà vita. 

Così nelle sei (sette più un’introduzione vocale) composizioni di Because of a Flower Ana continua il suo lavoro di labor limae. A partire proprio dalle voci, anzi dalla sua voce che si sdoppia e poi si moltiplica filtrata e che introduce i principi dello Yin e dello Yan e cita W. A. Mathieu (The spirit of harmony, as it condenses, produces all beings). Si continua quel programma già delineato sul precedente ~~~ e enunciato su “Slowness,” ossia di recuperare quello scomparso “piacere per la lentezza.” Così “A Study in Vastness” è quello che promette il titolo, ossia uno studio di un qualcosa che è vasto, che è eterno, e immersi in quei loop droni e voci sembra proprio di galleggiare in uno spazio immenso, buio, ma con luci che provengono da ogni parte e ti attirano a loro, quelle stesse luci, calde e soffuse del synth leggero e leggiadro di “– – –,“ quasi un pezzo comfy synth, quasi pop, morbido e accogliente.  Su “Camille,” una delle tracce migliori del disco, abbondano elementi chiaroscurali, con rintocchi di organo malinconico su una drum machine indifferente e fumosa, tutto spezzato da briciole di dialoghi rubati da quello che sembra un film nouvelle vague.

Come il precedente lavoro, anche Beacause of a Flower esplora il dualismo, l’incertezza, la molteplicità, e la non necessità di dover scegliere tra due alternative. Non solo perché la musica di Roxanne è pregna di riflessioni sulla sua intersessualità, ma anche e soprattutto perché Ana Roxanne è il frutto culturale di una ghirlanda di dicotomie: americana, ma di origini filippine, cresciuta tra spiritualismo indiano e spiritualità cristiana, cosa che porta qui a unire un cantato quasi devozionale a elementi hindustani,  tra pop e musica classica, qui citata in coda con sprazzi del “Preludio e fuga a 4 voci in Do Maggiore BW 846” dal Clavicembalo Ben Temperato di Bach e l’Ave Maria di Gunod cantata da Alessandro Moreschi, l’ultimo dei castrati, l’ultimo di una dualità drasticamente risolta. E nella sua musica c’è tutto questo e molto di più: c’è un’idea di trasformazione, di essenza che cambia forma ma non contenuto. Musicalmente è un disco perfetto per il catalogo kranky, da sempre votato all’eclettismo e alla dinamicità dei generi musicali. Qui l’ambient si fonde fino a confondersi con sfumature Goth quasi impercettibili, con musica sacra occidentale e orientale, con dream-pop, persino con lo slo-core al confine col post-rock sulla conclusiva “Take the Thorn, Not the Rose,” sembra un pezzo dei Tortoise, tipo “Along the Bank of Rivers” o uno dei momenti più languidi di TNT spogliato fino all’essenziale e rallentato: per l’appunto, le spine di una rosa mai colta.