
Quella degli Hypoluxo è una storia di cadute e rivalse: dopo due dischi per Broken Circles (Running on a Fence e If Language) tutt’altro che memorabili e un pessimo contratto discografico tutto sembrava dir loro di smettere, e per un periodo il frontman Samuel Cogen ha anche lavorato come fattorino in bicicletta lo scorso inverno a New York, una cosa che fa molto Bruce Springsteen e vecchia America rurale. Fatto sta che proprio, complice Allen Tate dei San Fermin, gli Hypoluxo passano a Felxible e ti fanno un disco fresco, veloce, diretto. A partire dal singolo “Ridden” è chiaro il senso di rivalsa che si sente palpabile lungo tutto il disco, a partire dal ritornello “I feel I’m stronger than that/I feel I’m better than that” che pare un urlo liberatorio che nasce da una ben risposta fiducia nelle proprie capacità, o i primi versi del secondo singolo “Nimbus” (“You can never trust/ You can never trust a thing they say”), che hanno tutta l’aria di uno sfogo (sacrosanto) contro la loro precedente etichetta discografica e un mondo indie non sempre all’altezza della sua presunta statura etica.
Il dream-pop da crooner dei precedenti album è qui solo un brutto ricordo, il sound si è fatto più maturo e personale, oltre che decisamente più asciutto e affilato. “Tenderloin” ha un attacco che ti riporta indietro nel tempo, ti riporta al CBGB e sembra di sentire David Byrne che imita i Devo su un riff frenetico e saldo sorretto dalla sempre affidabile sezione ritmica di Marco Ocampo e Eric Jaso, e al CBGB ci ritorni con la veloce quanto incisiva “Shape Ups” che continua la scia di band che profumano di Talking Heads (Omni, Eades, Hecks per fare dei nomi). Il crooning torna qua e là, ma completamente ripulito da ogni cadenza a là Berninger: “Appetizer” a esempio, inizia su toni bassi e caldi, ma grazie al cielo più in zona Interpol che The National, e degli Interpol ha ripreso anche quel gusto per gli accodi in levare e le geometrie precise tra due chitarre, giusto preludio per i momenti più melodici, come le conclusive “Shock” e “Sweat.”
Hypoluxo potrà anche sembrare un disco già in qualche modo vintage, e in verità questo approccio all’indie-rock è un po’ lo stesso dei primi anni ’00 che rispolveravano le sonorità di fine anni ’70. C’è da dire anche che oggi queste sonorità stanno vivendo una seconda (terza?) giovinezza, soprattutto se si tiene conto che proprio ora Captured Tracks ha pubblicato una raccolta antologica del jangle che fu all’epoca sottostimato, un jangle che, con eleganti sfumature new wave, è apprezzabilissimo anche qui. E poi c’è sempre una naturale simpatia per chi cade e si rialza.