
Avevo già brevemente accennato a Matt Lajoie l’anno scorso, in occasione di “Light Emerging,” la cassetta realizzata per la Esplorares Series di Trouble In Mind. Matt Lajoie però le sue cose le pubblica di solito con Flower Room, etichetta di Portland espressamente dedicata a ambient esplorativa. Nel corso della dozzina abbondante di cassette realizzate negli ultimi tre anni, Matt Lajoie esplora territorio e confini della “guitar ambient”: ambient fatta usando solo la chitarra, o meglio, effetti per chitarra attaccati a chitarre di vario tipo, a sei, dieci e dodici corde, acustiche e elettriche, c’è persino un disco realizzato col banjo, Beyond Separation: A New Beginning, uscito a inizio 2020 e nel quale LaJoie ha iniziato a cimentarsi con la longform tra improvvisazione e automazione, due elementi che da lì in avanti saranno elementi costitutivi di tutta la sua produzione a venire.
Il punto di partenza sono ovviamente gli accordi e gli arpeggi fluviali di John Fahey, certa kosmische appalachiana e gli esperimenti più eterei di Fripp e Belew. Ma Lajoie passa per la rivoluzione post-rock, dove grazie a Roy Montgomery e soprattutto a Dave Pajo (aka il chitarrista più sottovalutato di sempre) la chitarra rock si emancipa finalmente dalla dittatura di riff e assoli e diventa strumento di suoni e timbri. Negli ultimi anni Matt LaJoie sta costruendo un nuovo genere, rimodellando il modo di studiare, suonare e ascoltare la chitarra, insieme a musicisti come Noveller, per fare un altro nome, o Wendy Eisenberg, per farne un altro ancora. Paraclete Tongue, uscito proprio il primo gennaio di questo 2021 carico di speranze, è un nuovo capitolo in una pentalogia di dischi dedicati a elementi energetici, dopo l’elemento acqueo di Everlasting Spring. Questa volta l’elemento in questione è il sole, l’energia solare, il fuoco, la luce che è la spia che ti dice che c’è qualcosa che sta bruciando e producendo energia. Uscito insieme a un disco gemello che ne completa le intenzioni, Sun Language, che si muove in territori più new age, Paraclete Tongue è un disco fatto di chitarre elettriche in loop, ora pulite e torrenziali, ora lievemente distorte.
Fin dal titolo, che invoca il paraclito, cioè lo spirito santo come consolazione promessa da Gesù nel vangelo secondo Giovanni, ossia, volendo uscire dai riferimenti ecclesiastici, una forma di energia pulita, luminosa, che sia compagna e guida in un buio che vogliamo e dobbiamo abbandonare. Tutto condensato nella lunga suite finale “Flame of Incarnation” (altro titolo fortemente evocativo), che piano piano riesce a sommare tutti gli elementi precedenti: la pulizia policomposta e circolare di “Kuchina’s Dance,” l’avvolgente “Kandlebright Grotto,” i timbri gentili e consolatori di “Sunrise of Magic Meadow.” Per tutto il disco si intravede un mosaico di chitarre, usate ora in modo che suonino come synth, ora per emettere droni continui, ora come archi, ora più tradizionalmente come chitarre, sovrapponendo in modo intelligente loop e improvvisazione, elemento artificiale e elemento umano. Matt Lajoie è un chitarrista da seguire con la massima attenzione possibile: se la chitarra avrà un ruolo nella musica del futuro, quel ruolo passa da qui.