Mentre etichette ormai storiche stanno producendo sempre più musica a misura di mercato, là fuori stanno spuntando nuove piccole etichette fieramente indipendenti che piano piano sembrano impostare una nuova affidabilità. Vengono in mente Oxtail Recordings, Trouble In Minds, Exploding in Sound, e ancora Born Yesterday Records e in Francia Hidden Bay Records

Hidden Bay ha base a Tolosa, è un’etichetta fondata e diretta da due ragazze, Manon Raupp e Cécile Trion, e ha già all’attivo una dozzina abbondante di titoli che spaziano tra tutti i linguaggi della musica indipendente, riuscendo anche a anticipare trend e filoni. Pochi anni fa, per Hidden Bay era uscito il disco dei Lunar Quiet, gruppo sciolto dopo la morte tragica del frontman Tom Knights, e riformatosi come Happy Couple attorno all’affascinante Lena Pilshofer. 

Ultimo arrivato è Walk Home Drunk, ossia il progetto solista di Daniel Selig, già nei Docks insieme proprio a Manon Raupp, direttrice di Hidden Bay Records. E pobabilmente questo ep è il miglior modo per entrare in confidenza con il catalogo dell’etichetta che, ripeto, spazia dal power-pop all’art-rock alla nuova canzone d’autore francese mantenendo sempre alta la qualità. 

Le cinque tracce di Time Flies raccontano proprio ciò che il titolo promette: il tempo che passa e che accumula ricordi, amicizie, rimpianti e tutto ciò che in genere chiamiamo vita, e l’ep è sospeso tra passato—parte delle percussioni sono affidate al batterista storico Jeronymous Bouquet—e futuro—altre percussioni sono affidate a Robin Cousin che aggiunge un tocco di modernità con drumbeat e elettronica appena percettibile. L’opener “Finish Last” è in perfetto equilibrio tra la malinconia di un Elliot Smith e la nostalgia felice del Paul Banks nei panni di Julian Plenti e dimostra appieno il talento melodico di Daniel Selig oltre che quello di autore (“There’s winners and losers and we don’t have what it takes” condensa in una frase tutto il senso di pacata rassegnazione che spesso il tempo ti cuce addosso). “On Fire” inizia con un fraseggio di basso che sembra promettere un pezzo pop-punk e che invece si apre in un arioso intermezzo strumentale alla REM, mentre il singolo “Urgh” ti ricatapulta nelle atmosfere Elliot Smith-iane con un gioco di percussioni e di arpeggi di chitarra pulita che sembrano usciti dai migliori anni ’90 a sottolineare l’anthem “Don’t think it’s getting much easier” ripetuto fin quando non diventa una specie di esorcismo. “First Swim,” altro strumentale, ribadisce il talento per le melodie semplici e efficaci di Selig, e “Anti-Summer” chiude tutto con una nota acida e malinconica che ti fa venire voglia di rigirare la cassetta e iniziare a risentirla dall’inizio.