Ti piace il kraut rock, però ti sei accorto che molto spesso chi recupera il kraut finisce per accontentarsi di mettere un ritmo motorik sotto delle canzoni rock piuttosto classiche, e per questo piuttosto anemiche? sei fortunato, perché a accontentarti ci pensano i Writhing Squares, colo loro terzo album, secondo per la sempre affidabile Trouble In Mind. I Writhing Square partono da ritmi motorik per recuperare l’attitudine polmonare e rotonda del lato più rock del kraut. “Rogue Moon” inizia con un arpeggio di synth che ti tira in direzione space-rock, ma una drum-machine ti riequilibra  subito tutto e quando entra la parte melodica, chitarra e voce urlata, ti ritrovi in un baccanale nella migliore tradizione dei Can, quelli di “Pinch” o di “Oh Yeah,” per intenderci. 

Gli stessi equilibri li ritrovi tre lati e cinquanta minuti dopo su “North Side of the Sky,” un kraut-funky che si regge su un dialogo tra drum-machine e un basso denso e polveroso, primo movimento che apre un trittico finale che si muove tra psichedelia, space rock e canterbury, passa per la dilatata “Resurrect Dead on Planet Whatever,” e culmina nella conclusiva “Epilogue,” una versione garage-rock dei Soft Machine sotto acido, e qui Kevin Knowles si sdoppia, letteralmente tra sax e flauto, gioca a nascondino con l’organo di Alex Ward che dialoga con Daniel Provenzano, che a sua volta gioca a nascondino con l’altro ospite d’onore, il batterista John Shoemaker.

La cosa sorprendente è che i Writhing Squares sono solo due, due polistrumentisti che si dividono le parti—Knowles l’armonia con fiati, voce e synth, e Provenzano la ritmica tra basso, batteria e percussioni—e che insieme suonano come se fossero in venti. Già nell’accoppiata aggro/garage di “Geisterwaltz” e “Ganymede” il suono è rotondo, pieno, straripante e sembra quasi che simuli in musica quell’horror vacui che in fisica spinge la natura a riempire i vuoti. Stessa cosa che accade nello space-boogie a rotto di collo “NFU,” impreziosito questo dall’armonica di Dan Balcer, o nel prog lo-fi e scarnificato di “The Library.”

Ma il punto focale di tutto il disco è la lunga “The Pillars,” traccia che da sola occupa tutto il lato C e che si muove nel territorio condiviso tra la synth-wave dei Sucide, kosmische muscolare, e venature di psichedelia e noise. Qui, come in tutto il resto del disco, è il suono a essere protagonista assoluto: lungi dal recuperare e riproporre suoni vecchi di generi vecchi, i Writhing Squares si dimostrano capaci di rinnovare generi ampiamente codificati con sonorità fresche e futuristiche. Soprattutto qui niente è recitato e niente è impostato: tutte e undici le tracce di Chart for the Solution mostrano un’attitudine verace e sanguigna, intransigente e energica, che è esattamente quello che serve per reagire a momenti di stasi forzata.