C’è un libro di racconti di uno scrittore messicano naturalizzato statunitense e cresciuto in Texas, Fernando A. Flores, espressamente costruito attorno alla scena musicale indipendente e alternativa texana. Death to the Bullshit Artists of South Texas. Quei racconti ruotano attorno a tipi ideali di gruppi punk, noise e rock sperimentale, tutti fittizi, ma i lettori più attenti alla scena texana underground e alternativa potranno riconoscere gruppi reali come Inkbag e Charles Daniels Death Wish. In uno di quei racconti però Flores entra nel mondo della musica elettronica sperimentale. Il racconto si chiama “The Performances of Liliana Krauze,” un’artista multimediale che cerca di dare voce nella e con la sua musica sperimentale, bellissima quanto brutale, alla “sensazione di osservare e non essere capace di capire ciò che sta accadendo,” mediante registrazioni fatte con field recordings e tape loops. Una realtà artistica che forse non ti aspetteresti dal Texas, se ti fermi a un immaginario tanto comune quanto falso. Il Texas è pieno di musica elettronica, sperimentale e ambient, a partire dai numi tutelari Stars of the Lid, fino a arrivare ai giorni nostri con l’elettronica raffinata e rarefatta di More Eaze e agli esperimenti a tutto tondo di Claire Rousay. 

Proprio Claire Rousay è una delle protagoniste di quest’anno: ha dato vita insieme a altri artisti sperimentali a Catalytic Sound, piattaforma streaming alternativa e incentrata sulla sola musica sperimentale, è passata a American Dreams Records e American Dreams Record ha ben pensato di ripubblicare il suo intero catalogo, insieme al suo ultimo a softer focus, probabilmente il suo suo lavoro più accessibile, sicuramente quello che mostra quasi un impianto narrativo, e forse quello che riunisce e condensa tutti gli elementi musicali che Claire Rousay ha percorso nella sua evoluzione artistica, dal jazz di improvvisazione alla musica concreta ai field recordings resi più soffici da inserimenti di elettronica. ambient.  

Nata come percussionista e poi passata al mondo dell’elettronica DIY e sperimentale, Calire Rousay sembra aver rimpiazzato le percussioni con i field recordings, e su a softer focus come non mai sembra proprio utilizzare i field recordings come espediente ritmico. Rumori di ufficio, tra il ticchettio di tasti di una macchina da scrivere o della tastiera di un MacBook, voci, stralci di dialoghi, e poi chiacchiericci a un mercato, rumori di registratori di cassa, fuochi che crepitano, sono tutti puntillisimi che sembrano scandire in qualche modo il passare di un giorno. In un certo senso è una naturale evoluzione di quanto ha già fatto di recente sulla lunga suite It Was Always Worth It e su I’m not a bad person but…, che mescolano sound-collage, spoken word, field recordings e, nel caso di It Was Always Worth It, musica elettronica con i primi esperimenti col synth di Claire Rousay. 

A softer focus ruota attorno a due lunghe composizioni, “Peak Chroma” e “Diluted Dreams,” con il combo iniziale formato da  “Preston Avenue” e da “Discrete (The Market) a fare da lungo momento introduttivo. Claire Rousay sembra voler raccontare la fine di una relazione, e il modo che di accettare quella fine, ma un po’ tutta la sua musica riguarda proprio le relazioni umane e la percezione del sé.  Se “Preston Avenue” può essere la vita di casa e ufficio, il lavoro, la quotidianità che ti riempie la mente per non farti pensare a ciò che hai perso,  su “Descrete (The Market)” Rousay cerca rifugio tra la folla, e lo fa in un pezzo denso e pieno di field recordings prese da scene di vita cittadina che ricordano il recente Behind the Yellow Haze di Emeka Ogboh.

“Stoned Gesture,” impreziosita dal violino di Alex Cunnigham, è una delle due tracce con un testo, e è forse la traccia dove i field recordings diventano veri protagonisti. Rumori di fuoco che crepita, forse dei fuochi d’artificio in lontananza, un drone fisso che sembra il fruscio di un registratore che registra il silenzio di una solitudine, una voce filtrata che recita “I’m trying to make some stoned gesture to let you know that I appreciate you.” Un momento di quieta, estrema e luminosa, accogliente e in un certo senso consolante. Consolazione che trova il suo stato di grazia nella conclusiva “A Kind of Promise,” che il violoncello di Lia Kohl che duetta con poche parche note di pianoforte lascia sfumare nei rumori della realtà quotidiana che ti svegliano da un sogno.

In una recente intervista Claire Rousay ha candidamente ammesso di non aver mai fatto un disco che fosse veramente ascoltabile, ponendo poi degli interrogativi critici sulla cosiddetta e sedicente musica sperimentale, sempre meno libera (e quindi meno genuinamente sperimentale). A softer focus è forse il suo primo disco veramente ascoltabile e godibile anche da chi non è uso frequentare i suoni dilatati di ambient e affini: la musica di Rousay assume una maggior nitidezza, è meno sfocata eppur resta sempre morbida e multiforme. Non è un caso che a accompagnare il disco ci siano una serie di opere dell’artista Dani Toral, che oltre a realizzare la copertina, ha realizzato il video di “Peak Chrome” e una serie di trenta fischietti di ceramica: come la ceramica, un materiale grezzo, può diventare un oggetto e quindi musica, facendosi concreto e astratto allo stesso tempo, così la musica di Claire Rousay, nata da una massa di rumori trovati, piano piano assume forme, colori, struttura e diventa arte.