
Ho sempre visto l’ambient come una famiglia di generi musicali in qualche modo legata a esperienze artistiche come suprematismo e color field paintings. In entrambi i casi, si tratta stesso di reagire a un’errata e fraintesa concezione del genio visto come inutile complessità e virtuosismo con forme di arte che cercassero invece “l’espressione semplice del pensiero complesso,” per dirla con le parole della lettera-manifesto di Rothko e Gottlieb pubblicata nel New York Times nel 1943. Si trattava di rappresentare ciò che era sentito come “tragico e eterno” mediante forme piatte che distruggessero le illusioni e svelassero la verità. Ne nasceva una nuova forma di contemplazione immersiva che poteva diventare una forma di meditazione. Rothko considerava l’opera, il quadro, come un mezzo che ti mettesse in contatto con l’Altro.
L’Altro di Olive Ardizoni, aka Green-House, è la natura. Dopo il bellissimo ep Six Songs for Invisible Gardens, sempre pubblicato da Leaving Records, Music for Living Spaces raffina la metafora vivaistico-naturalistica raffinando al contempo la musica, che si fa più tersa, luminosa e controllata. Un passo in avanti che si nota fin dalla copertina: dalla natura morta in copertina di Six Songs for Invisible Gardens alle forme geometriche illuminate di colore di Music for Living Spaces. Si passa anche da un “giardino invisibile” a un soggiorno, un’architettura creata per esseri viventi, e non resisto alla tentazione di contorcere il titolo e vederci un doppio senso, trasformando “spaces” in “species,” gli spazi in organismi, in specie viventi e cosa c’è di più vivo di una pianta che respira e respirando crea l’ossigeno che tanto è necessario perché vivano altre forme di vita?
Ossigeno e luce sono gli elementi primari delle nove tracce di Music for Living Spaces, a partire dalle poche note semplici e incisive di “Top Soil,” pochi rintocchi che si incastrano con altri fraseggi altrettanto semplici per formare una melodia accogliente e balsamica. “Nocturnal Bloom” è altrettanto luminosa, con un lieve tocco orientale e un incedere quasi narrativo, talmente realista nella sua semplicità che ti sembra proprio di vedere un gelsomino notturno che sboccia prima del sorgere del sole, così come “Sunflower Dance” è tanto evocativa quasi da farti vedere dei girasoli che danzano. Non mancano elementi quasi drammatici, come “Rain” e “Find Home,” le uniche tracce a avere un elemento vocale e forse anche le due tracce più avvolgenti e malinconiche, che mostrano i bisogni primari tanto di piante quanto di esseri umani (nutrimento e stabilità, acqua e casa).
I paragoni con Mother Earth’s Plantasia di Mott Garson sono anche fin troppo facili, e forse anche con Deuter e altri capostipiti di quella musica ambient che confina con new age e musiche devozionali come Pauline Anna Strom, ma capita davvero raramente di sentire composizioni così ariose, semplici e belle, così piene di luce. E la stessa luce con cui Rothko illuminava i colori è la luce che Ardizoni usa per illuminare i suoni e la stessa che il sole usa per far vivere le piante che creano ossigeno per renderci vivi.