Il folk è una piattaforma girevole: può essere un genere fortemente ancorato a una tradizione ormai lontana e diventare una forma di conservazione culturale, come è il caso recente di Marina Allen, o può rinnovarsi, mantenere il suo intimismo e le sue strutture essenziali e scarnificate, e sposarsi con nuove sonorità, dialogare elettronica e ambient, rinnovare il proprio vocabolario sonoro e riguadagnare una forza comunicativa: e è quello che fa la neozelandese Maxine Funke.

Seance, appena uscito per A Colourful Storm, nasce da un’esperienza ormai ventennale, dai primi esperimenti col di allora compagno Alasdair Gailbraith nei The Hundred Dollar Band, e con Mike Dooley e Brett Moodie negli Snares, due esperienze diverse ma unite da un’estetica fai-da-te e poco disposta a cercare facili consensi. Seance è uno di quei dischi intimi e racchiusi, registrato in casa su un quattro-tracce per ventotto minuti scarsi divisi tra sette pezzi che sembrano sussurrati da un angelo mentre dormi e sogni di un posto piccolo, pulito, illuminato bene e immerso nella quiete più salubre. Può venire in mente PInk Moon di Nick Drake (“Homage”), ma senza quell’aura di sofferenza, o, per i palati più raffinati, Matt Christensen in qualcuna delle sue tante escursioni solitarie, o anche la Adrianne Lenker solista (“Anzac Day”)

Su Seance anche le canzoni apparentemente più semplice e classiche, come “Lucky Penny,” hanno una qualità rarefatta, quasi precaria, in equilibrio tra una solidità terrena e scorribande trasognanti. A vincere e convincere sono comunque le tracce più sporcate e contaminate, come “Moody Relish” e la lunga “Quiet Shore,” tracce minimali, estremamente eleganti, dove ogni strumento, ogni suono, ogni rumore è perfettamente equilibrato e bilanciato. Seance è un disco fatto di particolari, di dettagli, e dietro la chitarra e la voce, protagoniste illusorie, si sente sempre una pioggerella di mormorii, strumenti a arco appena sfiorati, fruscii, rumori timidi, la presenza di un mondo che cerca di restare in silenzio per non rovinare quest’incanto.