Nathan McLaughlin è attivo da una decina di anni, da solo, in duo insieme a Seth Chrisman, nei Loud & Sad insieme a Joe Houpert, nel progetto collettivo HMS (insieme sempre a Houpert e a Steve Perrucci e Erich Steiger) e nei Tilth con Cody Yantis, a cui vanno aggiunte una serie di apparizioni in compilation, antologie e split-single. Una produzione musicale corposa e che ha toccato anche territori estremi dell’elettronica sperimentale. Stoner Lake In G, primo disco per l’ormai sempre affidabile Full Spectrum, rappresenta forse insieme un punto di arrivo e un nuovo punto di partenza: McLaughlin mette da parte cut-up e tape-loops, anzi lascia dichiaratamente la staffetta a altri tra i tanti che si cimentano con quelle tecniche, e si rivolge a un mondo che finora era rimasto ai margini dei suoi interessi.
Al centro di Stoner Lake in G ci sono synth e melodie, ora elegiache (la bellissima “My Velcro Shoes” e “Berks”), ora dilatate in droni quasi minacciosi (“Dacks”), ora aperte e ariose, quasi cosmiche (“Williamsport”), ora cosmiche ma nebulose e avvolgenti (“”For Harold”), fino ai field-recordings minimali di “”Oliver at Stoner,” tutto inframezzato da una serie di cesellature che riprendono e rielaborano uno stesso tema (“(Edit)” da 1 a 5) che cuciono insieme i diversi strati emotivi del disco.
Come New Ruins di Marsha Fisher, sempre uscito per Full Spectrum, anche Stoner Lake in G è una rivisitazione del passato, della memoria, per Marsha Fisher era ricercare la bellezza nella banalità di cianfrusaglie di un passato ormai sepolto, per McLaughlin si tratta di scendere a patti con il fardello della nostalgia. Presi insieme, e presi insieme al catalogo Full Spectrum, i due dischi sono un invito a riflettere su come la musica possa essere anche una forma di reperto archeologico vivente, sempre presente, sempre prona a recuperare e a far rivivere un passato o un qualcosa di nascosto.