
Vengono da Baton Rouge, Louisiana, anche se sembrano venire da Saturno per quanto la loro musica è fuori dagli schemi di questo mondo, gli SPLLIT sono un duo formato da Matthew Urquhart, già chitarrista nei Loudness War, e dall’artista poliedrica Ronnie Bourgeois, di formazione fotografa, visionaria per vocazione, già nel collettivo Seaux LA. Il progetto SPLLIT nasce un paio di anni fa, quando Ronnie e Matt si sono posti una sfida: registrare un lato di un disco nell’arco di ventiquattro ore. Il risultato è lo split-album XX_HANDLE // SOAR THROAT: il primo lato è Ronnie Bourgeois sotto lo pseduonimo di Marance, e è una no-wave minimale, una sorta di versione bedroom dei DNA, con drum-machine, un basso saldo quanto rudimentale e voci asettiche. Il secondo lato, Sour Throat, è a opera di Matthew Urquhart, qui solo Urq, che fa in sostanza quello che ha sempre fatto con i Loudness War, ossia un rock’n’roll teso e sregolato.
L’anno seguente gli SPLLIT tornano con un disco già più programmatico, SPLLIT TOGETHER. Programmatico fin dall’opening-track, “Next Level Music,” e a partire dal suo incipit: “the traditional components of musical construction have ceased to matter so too has the desire to create anything interesting or emotionally compelling.” In sostanza, la musica vecchia, codificata, già sentita fino a diventare un classico, ha smesso di essere interessante. Si tratta di rompere gli schemi di un gioco che era diventato noioso, e gli SPLLIT non sono gli unici a farlo: è facile metterli accanto agli esempi recenti di Wombo, JOBS, Pedazo de carne con ojo, Lithics, e a esempi più lontani come i primi Parquet Courts (quelli di American Specialities) e i primissimi Pavement (quelli di Perfect Sound Forever): rock decostruito, istintivo, viscerale, dionisiaco, sempre imprevedibile. Quasi Captain Beefheartiano.
Quel disco è ora ripubblicato da Feel It Records, insieme a un nuovo capitolo, Darlene, che occupa il primo lato e che forse ha perso qualche tacca di fattore dionisiaco. Qui sembra di sentire una versione incattivita dei Devo, o un Brian Eno del suo periodo più pop rimodulato attraverso i canoni stilistici dei Flying Lizard o, perché no, del catalogo Feel It (tutto torna). Fatto sta che in sedici tracce per un totale di appena 25 minuti, gli SPLLIT dimostrano che si può e anzi si devono rinnovare i canoni: si più rinnovare la psichedelia, si può ritrasfigurare il rock, rimodellare il concetto di melodia. I nostri sono i tempi dell’incertezza, della fluidità, della ridefinizione, e in musica tutto questo passa anche da esempi di deformazioni costruttive come la musica dei JOBS e degli SPLLIT. Ci vediamo tutti al prossimo livello.