
Ascoltare In the Tender Dream di Sally Decker sembra di sentire una vecchia radio che deve trovare la sintonia giusta. Le frequenze disturbate iniziali di “The Other Side” si distendono in un equilibrio precario tra rumore e messaggio, ti invitano a fare attenzione, a ritagliare il messaggio che pur è presente in mezzo a tutti quei feedback e a tutte quelle distorsioni. Dialettica rumore/messaggio che continua con l’harsh-noise di “All Possible Realities” che più che le frontiere rumoriste dell’elettronica ricorda direttamente le composizioni di Ligeti. Un primo momento di stabilità, dove cioè il messaggio prevale su rumore e caos, è “The Loss,” una spoken-word che è anche il primo movimento di una rinnovata riconquistata identità.
Facile pensare a Laurie Anderson per “The Loss,” com’è facile pensare a Pauline Oliveiros mentre si ascoltano i synth soffici di “Adobe,” ma in questo caso si va ben oltre il gioco facile delle associazioni libere: a accomunare Sally Decker a Laurie Anderson o a Pauline Oliveiros c’è soprattutto la formazione al Mills College, ormai una vera e propria istituzione per la musica elettronica sperimentale statunitense. E quello di Sally Decker è un nome da mettere accanto a altri nomi di recenti studenti del Mills College come Ana Roxanne, Sarah Davachi e Holly Herndon, e anche a altri esempi di ricerca musicale e artistica come Lucrecia Dalt, Claire Rousay, Marsha Fisher o Elori Saxl.
Si tratta sempre di dischi che raccontano qualcosa, un’esperienza più di una storia: la dialettica tra umano e artificiale in PROTO di Holly Herndon, la ricerca di un equilibrio nella fluidità di genere in Because of a Flower di Ana Roxanne, il rapporto col passato su New Ruins di Marsha Fisher e la conquista di un’identità su No era solida di Lucrecia Dalt. Quello della ricerca di identità è un tema che torna su In the Tender Dream di Sally Decker che racconta l’emancipazione da costrizioni esterne, dalle costrizioni di una codipendenza e la conquista di una personalità. Lo fa attraverso dieci tracce che pur partendo da rumori e caos riescono a costruire una trama che via via si fa sempre più solida e comunicativa. Punto nodale è il pezzo vocale “Affirmation,” realizzato insieme a Briana Marela, con quell’unica frase “Now I am more Myself” ripetuta e riavviata su se stessa fino a diventare una nuova verità su “Affirmation pt. 2,” pezzo realizzato con Emily Cardwell e ancora una volta Brian Marela: altra spoken-word che sembra dialogare e completare “The Loss.”
Chiudono il disco il quasi kosmische di “Endlessy” e lunga e sublime “Seen,” che riprende l’harsh-noise di “All Possibile Realities” e lo rielabora, lo disfa e lo ricuce in una traccia che usa proprio il rumore per creare messaggi concreti. Capita raramente di trovare dischi sperimentali così consistenti, coerenti e ben pensati. Sally Decker non è solo una musicista, è un’artista vera e propria capace di raccontare cose usando le asperità della musica sperimentale.