
Gli Smoke Bellow iniziano in Australia, dove ancora sotto forma di duo formato da Meredith McHugh e Christian Best realizzano un paio di cassette—webuyyourkids’ John Carpenter (2011) e Old Haunts (2012): l’idea sembra essere quella di partire dal sound dei Velvet Underground di “Venus in Furs” e della Nico di Drama of Exile e renderlo più gotico, quasi ritualistico e pastorale. Due anni dopo si spostano a Baltimora e diventano un trio: l’album Blooming/Middling è già più dinamico, meno lo-fi forse, ma anche più ambizioso e maturo. Qui la filigrana kraut-rock che scorreva sottopelle su Old Haunts si fa esplicita e evidente: “Hitching Post” mescola in parti uguali Velvet Underground e Stereolab, mentre le due coppie “Blooming 1-2” e “Middling 1-2” suonano rispettivamente come tributi la prima ai loop ossessivi dei Can e la seconda al motorik tenue ma deciso dei Neu!
Su Blooming/Middling gli Smoke Bellow lavorano ancora sulla forma, aggiungono suoni, strumenti, elaborano maggiormente gli arrangiamenti. Il sound inizia a prendere una direzione più precisa, a sviluppare dei contorni piùi marcati, ma la maturazione sarà compiuta quando tornano a Baltimora, trovano un nuovo batterista e sviluppano ulteriormente il loro sound su Isolation 3000, questa volta arricchendo la componente kraut con un tocco di kosmische e persino dell’ambient/new age intrinseca al kraut (zona Can di Future Days).
Quel disco sarà un punto di arrivo che segna la definitiva maturazione degli Smoke Bellow come band, ma sarà anche un punto di inizio, perché ora possono dedicarsi a plasmare i contenuti, a passare da forme più o meno libere a una forma-canzone fuori dai canoni consueti. Trovano un nuovo batterista e polistrumentista (Emmanuel Nicolaidis), registrano nuovo materiale, e da buoni fan di Trouble in Mind è quella la prima etichetta a cui sottopongono la demo. Fortunatamente Bill e Lisa Roe di Trouble in Mind sono una coppia di illuminati e dopo mezz’ora hanno un contratto che li porta a Open for Business. E non c’era etichetta più adatta di Trouble in Mind. Fin da subito ci si accorge che questo è un tassello fondamentale nella definizione del nuovo post-pop che sta nascendo attorno all’etichetta di Chicago: Hecks, Omni, Naked Roomate, En Attendant Ana, Nightshift, tra poco i Dummy, sono tutti esempi di un’alternativa al pop-rock addomesticato che il convento spaccia per post-punk.
Qui l’elemento post- affiora in ogni pezzo, l’opening-track e primo singolo “Fee Fee” nasce da un incesto tra basso funky, ritmi kraut e accenti di sax che possono ricordare il pop sbilenco del primo Brian Eno, “Hannan” ha un attacco che rimanda alla disco-punk di A Certain Ratio e Liquid Liquid che innesca un ritmo fortemente quarto-mondista con tanto di coda spoken-word. Spoken-word che è pienamente sviluppato su “Night Light,” uno dei pezzi più affascinanti del disco: un po’ Laurie Anderson, un po’ Talking Heads di “Houses in Motion” e “Seen and Not Seen,” ma viene in mente anche la migliore Leslie Winer, con un loop di synth caldo e rotondo che mantiene saldo il legame col kraut. Allo stesso modo “Fuck On” sembra la sceneggiatura di un film di Altman e gioca su monologhi sovrapposti di basso, chitarra, percussioni e tastiere in un crescendo meticcio degno di Lizzy Mercier Descloux, mentre “Maybe Something” allenta un po’ la tensione in una ballata dai miti toni calipso che presto si sfaldano in un intermezzo psichedelico, e “Wrong Size” si avvicina quasi alla bossanova.
Se è vero che negli anni ’70 c’erano solo tre beat—quello afro di Fela Kuti, il funk di James Brown e il motorik di Klaus Dinger—gli Smoke Bellow sembrano sovrapporli l’uno sull’altro e fonderli insieme in qualcosa di nuovo e prorompente, qualcosa capace di sfruttare i migliori ingredienti che la tradizione alternativa ci ha dato per crearne uno nuovo, un nuovo sapore capace di mescolare tradizione e futuro in un presente caleidoscopico.