Credevo di aver archiviato definitivamente l’esperienza slo-core con la fine della prima ondata di post-rock e la fine degli anni ’90 e del secolo scorso, e invece ecco che quelle sonorità scarnificate, quell’escursione termica estrema, e a volte anche violenta, tra forte e piano, pienezza e assenza, tra rabbia e quiete torna a farsi sentire. Non che una cosa del genere dispiaccia, e anzi, se non altro segna la fine delle gabbie dorate di tanto post-rock ipertrofico del nuovo millennio. Negli ultimi due anni si è ricominciato a sentir parlare di Slint e soprattutto a sentire dischi che in qualche modo “suonano” come gli Slint. A partire dai Black Country New Road a Cambridge, o a Milwaukee con i Credentials, dichiaratamente influenzati dalla prima ondata di post-rock, quella delle band di Louisville, o ancora, tra Canada, Stati Uniti e Italia con i Dead Bandit, che hanno costruito un ponte tra il Tom Waits rumorista di Real Gone e i Tortoise più morriconiani, e prima di tutti, dagli Sprain di Los Angeles, band tanto slintiana quanto indebitata con gli Unwound di Vern Rumsey.

Ora, proprio April Gerloff, bassista degli Sprain, ha lavorato al master di Home Doesn’t Have Four Walls, EP di debutto degli Poorly Drawn House, terzetto di Spartansburg, South Carolina. Qui le influenze post-rock/slo-core girano a pieno regime, sin dall’attacco di “The Walls as Witness” che ricorda il Re minore con cui parte “D” dei Codeine, un’elegia di appena due minuti per basso, accordo di chitarra e una coda di rumori ambientali, rotta solo da una timida accelerazione centrale. “We Are the Bones, We are All the Leaves” inizia con gli stessi ricami tra basso, batteria e note di chitarra pulita che ricordano alcune cose più sommesse dei God Machine, ma quando entra la voce, appena soffiata, la prima cosa che viene in mente sono i June of ’44 più dimessi di pezzi come “Recorded Syntax” e “Southeast of Boston,” e ancora di più quando entrano in gioco fiati e voci che sembrano spuntare come dal nulla.

Quel poco di movimento che serve viene recuperato sull’attacco di “Night Hawks” e in parte nei singhiozzi tra For Carnation e Karate di “Skin, Glass & Light Bulbs,” mentre “Thereupon the Grass” ci riporta alle atmosfere cupe e malinconiche dei God Machine e agli stacchi math-rock dei June of ’44. Chiude tutto la rasserenante “Just Another Night in Passing,” quasi una nota finale agrodolce in contrasto con l’umore generale del disco.

Quello che mancava a slo-core e prima generazione di post-rock era la sporcizia dei suoni, qualcosa che potesse rendere imprevedibili delle composizioni tutto sommato nate come formule matematiche. Poorly Drawn House riescono a far rivivere lo slo-core e a rielaborarlo e arricchirlo con l’inserto di field-recordings e rumori ambientali, voci salmodianti, clarinetti, note di pianoforte e altro. Ormai possiamo iniziare a parlare di una rinascita del genere, e c’è solo da esserne felici.