
Ho già notato come Kevin Linn sia uno dei cavalieri che stanno facendo l’impresa di far tornare il rock a essere di nuovo alternativo e indipendente. Lo fa con la sua etichetta discografica Paisely Shirt e lo fa insieme a una manciata di altre etichette altrettanto valorose, come Trouble in Mind, Exploding in Sound, Fire Talk, Slumberland, e da questa parte dell’oceano, Hidden Bay e Tough Love. E la sua sommossa, per quanto sia sotterranea e abulica, è talmente dissidente e programmatica che uno dei tag identificativi di Paisley Shirt su Bandcamp è proprio: #anti-post-punk.
Se il flusso è costituito da una serie di etichette discografiche che ancora riescono a farsi chiamare “indipendenti” nonostante abbiano palesemente numeri, obiettivi, strutture e strategie da major, e soprattutto suonino sempre più mainstream, la forza da contrapporre è quella di produzioni il più possibile artigianali, a bassa-fedeltà, granulose, con chitarre pungenti e alti che quasi ti fanno male alle orecchie. Una strada è quella dei Red Pants, duo di Madison, Wisconsin, nato come progetto solista di Jason Lambeth (tenutario di Painted Blonde Tapes) e diventato duo con l’aggiunta di Elsa Nekola che qui canta e suona la batteria. Questa strada porta diritta al janglegaze chiassoso degli Yo La Tengo di Ride the Tiger e New Wave Hot Dogs, ma anche al punk d’autore delle Sleater-Kinney o a una versione più snella e vitaminica dei Sonic Youth di inizio anni ’90 (“Lost Momentum” ha dei toni perfettamente abbinati con quelli di Goo).
Ma When We Were Dancing è un disco che rappresenta appieno la linea editoriale di Paisley Shirt: lo shoegaze dei Blue Ocean e il jangle degli Hits si uniscono alle dolci leziosità dei Cindy (soprattutto in pezzi come “Here I Am” e nella ballata Yo La Tengo-iana “In the Passing Time”) e alle asperità di Present Electric. Le chitarre riempiono i vuoti e non lasciano spazi, vuoi che siano grattugiate con nonchalance o che planino in discese lisergiche, ma non coprono mai delle linee melodiche che trovano sempre qualche pertugio da cui uscire, come avviene su “All Your Pink Stars,” canzone da colonna sonora di Gilmore Girls, o nella svelta e compatta “Never Enough.”
Per quanto possa sembrare paradossale, in tutta questa baraonda di riverberi, clangori e rumore non c’è un minuto fuori posto, forse perché tutte le imperfezioni sono esattamente dove devono stare, ossia lì dove sono.