Il secondo disco dei Blurry the Explorer è anche la nona release di Island House Records, etichetta newyorkese che ha già un catalogo di tutto rispetto, tra free jazz, kraut, ambient chitarristico e altro. I Blurry the Explorer sono il progetto del percussionista e musicista sperimentale Jeremy Gustin, affiancato dal bassista brasiliano Ricardo Dias Gomes e dai chitarristi Leo Abrahams e Ryan Dugré. Quattro musicisti con esperienze importanti alle spalle: Jeremy Gustin ha lavorato con David Byrne e Marc Ribot, Dias Gomes con Caetano Veloso, Abrahams con Paul Simon e Brian Eno (presente nel loro primo disco), Ryan Dugré ha suonato con Joan as the Police Woman e con i Rubblebucket (e sia Annakalmia Traver che Toth fanno capolino in un paio di tracce). Una macedonia di esperienze che non tarda a dare i sapori che si possono immaginare sulla carta: Angel Ecology è un disco variopinto e caleidoscopico, un autentico mutaforma che ti sfugge dalle orecchie a ogni minuto. Non fai in tempo a arrenderti alla melodia esotica iniziale, “Leave in the Air,” cantata in portoghese, probabilmente dallo stesso Dias Gomes e con il prezioso apporto vocale della cantautrice Alycia Lang, che tre secondi dopo la  chitarra pulita e dinoccolata di “My Jade Loves Me” ti catapulta nel funky nervoso e quartomondista dei Talking Heads e atti post-wave connessi, dai King Crimson di Discipline ai Lizzy Mercier Descloux. La successiva “Ramifications” ha un che di familiare e un che di contemporaneo, profuma di Os Mutantesi e di Antena, ma con la stessa fresca disinvoltura degli Smoke Bellow, così come “Maybe Melodrama” (cantata da Indigo Sparke) sembra quasi un’estensione della  versione di world music che recentemente Marlene Ribeiro ha tratteggiato su Toquei no sol,  e capisci che i Blurry the Explorer, come molte altre band loro coeve, usano la tradizione per dialogare col presente, metabolizzano un linguaggio consolidato per crearne uno nuovo, una specie di esperanto sonoro che prende diverse forme, le sfamiliarizza per ricostruirle in un nuovo universo e in un nuovo presente.. 

Quell’esperanto sonoro sa  anche prendere la forma del jazz languido di “Whirl Girl,” sa riprendere le atmosfere bucoliche di un disco di culto come Mr. Wollogallu di Carlos Maria Trindade e Nuno Canavarro nella title-track, e sa scivolare nei territori del folk polveroso e desertico dei Calexico su “Like Dreams,” ancora una volta impreziosita dalla voce di Alycia Lang. Abbondano momenti che quasi invitano alla meditazione, o quanto meno a un ascolto quasi ambientale, come musica da tenere in sottofondo e dare in pasto a un’attenzione a corrente alternata, ma non mancano momenti decisamente più energici, come il rock di “in the Foot,” il kraut di “East La” e il post-rock (post-)Tortoise-iano di “Swan Wings with Strings,” “Window Spider” e della conclusiva “The Best West Mess,” combo di tracce che si avvicinano a quanto stanno facendo altrove e in altro modo Dead Bandit e Bondo. Alla fine c’è davvero la sensazione che a tenere insieme le tredici tracce di Angel Ecology sia davvero il tentativo di creare un nuovo linguaggio a partire da elementi di altri linguaggi ormai sterili e incompleti. Lo stesso eclettismo stilistico lo si trova sempre più spesso in dischi recenti, frutto maturo di un’epoca che ha l’esigenza di far convivere troppe cose perché se ne possa parlare con linguaggi ormai spenti.