
Da un anno a questa parte mi trovo sempre più affascinato e attratto dalla musica danese. Due delle cose che ho ascoltato di più l’anno scorso sono stati il folk fragile e intenso di Innemuseum di Cisser Mæhl e il pop solare e sintetico di Suntub di ML Buch. Quest’anno l’ho iniziato con Astrid Sonne, che proprio di ML Buch è collaboratrice e amica dai tempi dell’università. Nata nel 1994 a Bornholm, piccola isola danese appena sotto la penisola scandinava, Sonne ha studiato in un liceo musicale della sua città e successivamente in un conservatorio di Copenaghen prima di trasferirsi definitivamente a Londra. L’esperienza scolastica l’ha portata a maturare un senso di divisione, tra musica classica e popolare, innanzitutto, ma anche tra diverse fasi della produzione musicale. Nei suoi dischi precedenti, Human Lines, l’ep Cliodynamics e il più recente outside of your lifetime, ogni traccia era un mondo a sé, costruita su un particolare suono, elettronico o acustico. In una recente intervista Astrid Sonne ha confessato “Quando ho iniziato a fare musica, mi fissavo con un suono particolare e mi dicevo che quello sarebbe stato l’unico suono che avrei usato per tutta la traccia. È stato difficile controllare e vedere un suono per quello che è, vedere come suoni diversi possono relazionarsi l’un con l’altro.” Nei dischi precedenti raramente usava la voce, su “Field of Grass” nel precedente album la voce è quella dell’amica ML Buch, e è stata proprio ML Buch che l’ha convinta a sperimentare di più con la forma canzone, mescolare suoni elettronici e acustici. Per certi versi Great Doubt è il disco della maturità artistica di Astrid Sonne, e forse non è un caso che la copertina sia ricavata da un suo primo piano stretto (uno scatto rubato dal fidanzato, tra l’altro). Fin dal minuto introduttivo di “Light and Heavy” capiamo di essere in un mondo completamente diverso da quello delle glaciali elegie elettroniche quasi autechriane di Human Lines o dall’ambient-pop rarefatto di Cliodynamics e outside of your lifetime. Lo stesso titolo è un indice di quanto accadrà nel seguito: leggerezza e profondità, i due mondi che Astrid Sonne ha imparato a dividere tra liceo e università, la leggiadria del pop e dell’elettronica le elucubrazioni della musica classica e della viola. Le restanti tracce di Great Doubt sono concrete e pulsanti, giocano con la praticità della forma-canzone, sfruttano sonorità più aperte e immediatamente accoglienti, pur mostrando un’approccio inconsueto e inusuale.
La prima canzone vera e propria, “Do You Wanna,” inizia con un groove di batteria saturo e solare, saturazioni poi ripresi sul secondo singolo, lo strumentale “Boost”: il testo, compatto e minimale, è il primo grande dubbio. “Do you wanna have a baby?” E la risposta alla domanda è un dubbio: “I really don’t know.” Per la prima volta in tre dischi e un ep Astrid Sonne parla di se stessa, si fa domande, non trova risposte, solo grandi dubbi. Ma trova anche un’inattesa luce, musica più accogliente, con anche qualche tocco di umorismo, come su “Give my all” che cita “My All” di Mariah Carey, ma la canzone nasce come esperimento per una colonna sonora di un cortometraggio dove Astrid Sonne doveva fare una cover proprio del pezzo di Mariah Carey. “Almost” è forse il pezzo che la lega più a ML Buch,
“Everything is unreal” e “Staying here” sono curiosamente simmetriche e complementari. “Everything is real” è uno spoken-word molto nello stile di Anticlines di Lucrecia Dalt, “Staying there” ne riprende il testo per costruire quasi una versione alternativa della traccia precedente, traslata in un universo più solare e aperto. Stessa cosa accade, più o meno, con “Overture” e “Say you love me”: originariamente un’unica canzone, con “Say you love me” una parte vocale sovrapposta al loop di chitarra di “Overture” e successivamente separate in due tracce distinte. Great Doubt è un disco che getta le basi per una rinnovata forma di pop scandinavo e europeo, un pop che come Suntub di ML Buch (un disco per certi versi stretto parente di questo) unisca aperture melodiche e sonorità sintetiche, testi brevi, concisi, diretti e un minimalismo compositivo che invita al conforto della semplicità.