C’è il rischio che questo disco passi inosservato, schiacciato dalla sovrabbondanza di offerta settimanale e dai consueti dischi sovraesposti, e sarebbe un gran peccato. Quindi per ingolosire i buongustai è bene dire fin da subito che qui dentro ci sono Jeff Parker e John Herndon dei Tortoise, c’è Nels Cline dei Wilco, e ancora Kristin Slipp dei Dirty Projectors, Mark Shippy degli U.S. Maples, e ancora le Finom, già Ohmme, ossia  Sima Cunningham e Macie Stewart, l’attrice/cantante brasiliana Thalma de Freitas, che qualcuno conosce per aver collaborato con Kamasi Washington e la fatina dispettosa dell’elettro-pop giapponese Takako Minekawa.

Ma andiamo per ordine. Il progetto Church Chords nasce da un’idea del musicista e produttore Stephen Buono che qualche anno prima aveva assistito a una sessione di registrazione agli Electrical Audio Studios di Steve Albini in cui si cercava di unire il Miles Davis elettrico e i Black Sabbath. Trasferitosi a Los Angeles ha voluto riprendere e sviluppare quell’idea di contaminazione e ha registrato una lunga improvvisazione insieme a David Hoff (bassista di Julia Holter), a Bon Boye (polistrumentista che ha lavorato con Ty Segall) e a John Herndon.  Inizialmente l’idea era quella di creare un pastiche di jazz-rock molto Chicago-centrico, ma via via che il materiale prendeva forma Buono ha visto l’opportunità di usarlo per plasmare una dozzina di canzoni collaborative, nello stile dei featuring sempre più frequenti nelle produzioni hip-hop. In poco tempo ha riunito un nutrito gruppo di musicisti dell’area losangelina, si è relegato a ruolo di produttore e è riuscito a creare un disco variopinto, eclettico e fortemente contaminato. Si passa da momenti di bossanova mescolato al jazz fourth-world di casa International Anthem nel pezzo di apertura “Sweet Magnet” al dub tropicale con un pizzico di Stereolab  di “Recent Mineral,” all’afro-pop di “Apophatic Melismatic” a pezzi dal taglio decisamente indie-alternative ma con una coda krautrock come “She Lays on a Lead” a incursioni nello Shibuya-key. 

Elvis, he was Schlager assomiglia a un piatto di cucina contemporanea: assembla molti ingredienti diversi, sapori che si bilanciano, si contrastano, si mescolano e si esaltano a vicenda, la chitarra di Jeff Parker è come sempre una spezia inconfondibile, ma non sovrasta gli altri suoni, le escursioni jazz non sono mai pretestuose, bossanova e tropicalia non danno mai la sensazione di etnico forzato, gli elementi psichedelici, soprattutto le smerigliature krautrock, non sono mai invadenti.