È in atto un Rinascimento del Synth, lo dico da un po’ di tempo, e anzi, la cosa mi pare sia abbastanza evidente per chiunque segua con un minimo di attenzione il flusso di produzioni indipendenti. Non solo per il revival synth-pop (Ela Minus, Kelly Lee Owens) e synth-wave (Finlay Shakespeare, Golden Diskó Ship, Le goût acide des conservateurs), non solo per la riscoperta dei suoni analogici tra ambient e elettronica sperimentale (da Craven Faults a Ben Chatwin a Field Lines Cartographer): c’è proprio una rinnovata attenzione alle potenzialità espressive dei synth da parte di chi proviene da esperienze altre. Tara Jane O’Neil si è recentemente prodigata in una manciata di cover di pezzi anni ’80 fatti con synth e un’attitudine DIY, Sam Prekop è già da una decina d’anni che ha permutato la sua chitarra per un synth, raggiungendo proprio quest’anno la sua vetta più luminosa e riuscita. In ogni caso, si tratta di una scena che parte da lontano, da una storia recentemente ben raccontata dal docs-film Sisters with Transistors, e pronta a riprendersi un posto in primo piano: è stato da poco annunciato un nuovo disco di una delle alfiere del synth, Pauline Anna Strom.

A volte c’è un po’ l’effetto di. McCartney II e le sue infantili ma giocose escursioni elettroniche, a volte i risultati hanno tutta l’aria di tentativi e divertissement, come Enchanted Forest, il progetto di Em Boltz delle Corey Flood, altre e più spesso, l’aria è quella di una progettualità collettiva solida e coerente.  È da un po’ che per esempio si parla di “scena di Memphis,” o più precisamente di “New Weird South,” come è stata battezzata la nuova scena elettronica che pare avere un centro in Tenneessee, tra il Big Ears Festival di Knoxville organizzato da Ashley Capps e il Memphis Concrète, festival organizzato dal synthetista Robert Traxler a Crosstown Arts, un ex magazzino di Sears riconvertito in galleria d’arte, festival da cui è nata la bella antologia Memphis Concrète. On Triangles -Sounds in Geometry Series Vol. 1 e che ben rappresenta una scena che da Linda Heck e Tatras arriva fino alla recente Eve Maret. 

Gli Optic Sink hanno partecipato alle ultime edizioni di entrambi i festival, e anzi, Natalie Hoffmann, già chitarrista e cantante per le Nots, ha varato il suo Side-project proprio mentre svolgeva una specie di tirocinio artistico proprio a Crosstown Arts.  Lì, attratta dall’idea di libertà e apertura che trovava nel mondo dell’elettronica analogica, pensa bene di chiamare Ben Bauermeister, synth genius loci e iniziare con lui il progetto Optic Sink. 

L’omonimo album è un ottimo rappresentante dell’estetica New Weird South, e in piena sintonia col programma di Memphis Concrète, ossia quella di “unire alcune esperienze musicali del passato con le nuove libertà dei suoni orientati verso l’elettronica.” I suoni analogici apparentemente vintage, molto vicini a quelli del disco che forse  rappresenta la nuova attualità, ossia Suicide dei Suicide, vengono stemperati con una dose di futurismo. “Such Quiet Life,” “Exhibitionist” (con i suoi falsi inceppi) e “Vanishing Point” giustappongono i ritmi meccanizzati della drum machine con percussioni più libere e più umane, e suoni automatizzati e glaciali con sussulti e rumori quasi improvvisati.  “Dumb Luck” ricorda Metamatic di John Foxx, ma con un tocco di imprevedibilità e di umanità non contemplate in quella glacialità esistenziale. Non mancano momenti quasi politici, come “Girls in Gray” che descrive il bullismo che può derivare da un femminismo mal posto e mal attuato. Tutto racchiuso, direi perfettamente, tra l’introduttiva e programmatica “Drone” e l’outro “Set Roulette,” tra i droni che ancora non hanno forma, e gli stessi droni che finalmente riescono a raggiungere il calore cui hanno teso per otto tracce.

Per tutto il disco c’è una tensione gradevole e mai risolta tra dominio meccanico e aneliti alla libertà, tra ragione imposta e sentimento anarchico, tra apatia e voglia di tornare a sentirsi vivi, tra un passato inerte e un presente che dà un nuovo senso a quel passato.