L’altro giorno accennavo al New Weird South, alla nuova scena elettronica del Tenneessee, nata tra Knoxville, Memphis e Nashville. Quella scena sta diventando centrale, o per lo meno è uno dei centri dove si sta accendendo una rinascita del synth, che non ha confini geografici e non ha confini di generi musicali: si va dal pop alla synth-wave più oscura all’ambient all’elettronica dalla più classica alla più sperimentale. Fa parte della scena New Weird South anche e soprattutto la nashvilliana Eve Maret, che tra l’altro riesce a far convivere una tendenza al pop meno triviale con le sperimentazioni più audaci, abbracciando un po’ tutti i generi in cui si può individuare il rinvigorito interesse per il synth. 

Stars Aligned doveva uscire a fine settembre, ma intoppi nella produzione del vinile hanno fatto slittare la pubblicazione fino a metà novembre, ma ora il disco è qui, e continua il percorso che Eve Maret aveva iniziato col pur notevole No More Running e con gli esperimenti con il synth modulare Eurorack di “Eurorack Live ’17,” o con l’elettronica più analogica e umana di “Ofo” o ancora le prime sperimentazioni tra ambient e glitch su Say So. 

Tutto inizia con l’astro-synt-pop di “Synthetizer Hearts,” traccia che sembra uscita da uno scontro frontale tra l’electro-pop nato da Autobahn e il catalogo Hausu Mountain. Rappresenta in pieno l’estetica Memphis Concrète, ossia di rinnovare i vecchi linguaggi con grammatica più ricca e sintassi più libera. La title-track si riappropria di alcune strutture cosmiche e kraut, in zona Harmonia o tardi Neu!, ma  già si respirano aromi anni ’80, sebbene centrifugati, decostruiti, liquefatti e ricostruiti in nuova veste. 

La cosa davvero sorprendente di Eve Maret, è la sua capacità di far serrare terribilmente attuali suoni che in realtà hanno quaranta o cinquant’anni sulle spalle, e lo fa sradicandoli dal loro terreno e trapiantandoli altrove, in un terreno con diverse proprietà organiche. Così “Freedom” e “Bury the Dream” riprendono la forma canzone di certo electro-pop tra anni ’80 e ’90, ma la rilavorano fino a renderla irriconoscibile ma familiare: le melodie pulite e quasi “bambinesche” delle strofe (viene in mente una Grimes meno oscura) vengono contrappuntate da voci robotiche e filtrate nei ritornelli, trucco usato anche da Katie Dey, in modo altrettanto convincente, su mydata, altro disco che insieme a questo e forse anche a acts of rebellion di Ela Minus dovrebbe dettare il corso che il pop elettronico dovrebbe prendere al presente e per il futuro. 

La tensione tra passato redivivo e retrofuturismo è costante in tutto il disco, che come il precedente ha una struttura che può ricordare i primi due capitoli della Trilogia di Berlino di Eno e Bowie: una prima parte più pop e ospitale, forse ben rappresentata dal singolo “Do My Thiing,” un divertissement quasi bubblegum, e una seconda parte più distesamente elettronica e sperimentale, rappresentata questa dalla stupenda “Impressions” che nei suoi dieci minuti abbondanti mescola e sovrappone quasi tutti i generi elettronici più nobili, kraut, ambient, new age e una spolverata di psichedelia, strada ripresa dalla closing-track “Forgotten Ways,” ma per il verso opposto: “Impressions” era costruita per moltiplicazioni e sovrapposizioni, “Forgotten Ways” ricerca per sottrazione il timbro perfetto, la frequenza ottimale. 

Ora abbiamo un mosaico completo, tra Kaitlyn Aurelia Smith e Eve Maret, esperienze più pop come Kelly Lee Owens e Ela Minus, elettronica che risposa sperimentazioni e avanguardismi, da Lucrecia Dalt a Holly Herndon, appare chiaro che le grandi precorritrici del synth, da Pauline Anna Strom, Delia Derbyshire, Suzanne Ciani, hanno generato un mondo nuovo, fertile e ricco.