Di essere anch’io un accolito di Craven Faults l’avevo già dichiarato con Erratic & Unconformities uscito lo scorso inverno sempre per The Leaf Label, e ora con questo nuovo album lo sono ancora di più. E siamo legione. La prima stampa di Enclosures, l’edizione ultra-limitata a 50 copie con allegato il tappetino in sughero per il giradischi, è andata sold-out in mezzo pomeriggio, tanto che Bandcamp avvertì gentilmente via mail chi aveva messo il disco in wishlist di comprarlo subito, tanto andava a ruba. C’è stata una seconda stampa, 300 copie, anche queste finite in pochi quarti d’ora, e una terza di altre 400 ancora una volta volatilizzate in pochi minuti, e una quarta di altre 300 copie finite anche prime che tu potessi digitare Craven Faults su un motore di ricerca. Comunque sia, il disco ora è qui, e almeno in digitale e streaming è disponibile per tutti, e è difatti come credere in una specie di divinità che puoi sentire ma non vedere, percepire per via di fede e non per esperienza diretta. Di Craven Faults si continua a non sapere niente, se non che la musica proviene da qualche fabbrica dismessa da qualche parte nello Yorkshire, e che ha un debole per strumentazioni vintage. 

Già su Erratic & Unconformities si contrapponevano umano e disumano, dove il disumano era la meccanizzazione industriale, ora ridotta quasi a macerie e reperti archeologici di un mondo sommerso dalla digitalizzazione e virtualizzazione degli spazi. Questa ricognizione dei paesaggi reali quanto spettrali continua su Enclosures: “Doubler Stones” è una coppia di montagne a forma di fungo che si trovano nello Yorkshire, una specie di monolito che sembra quasi un manufatto alieno, “Weet Gates,” riprodotta in copertina, è una roccia che pare essere la base verticale per una croce medievale posta all’intersezione di tre diverse antiche zone dello Yorkshire. Se l’inumano su Erratic & Unconformities era dato dall’artificiale creato dall’uomo, qui su Enclosures è il naturale che sembra alieno. 

Se su Erratic & Unconformities c’erano tracce anche piuttosto consistenti di kraut, qua su Enclosures si svolta con decisione verso la kosmische musik: la lunga e avvolgente “Weets Gate” inizia come un tributo a Klaus Schulze o a altri maestri quasi dimenticati del synth, come Harlan Gosskopf, ma le tessiture elaborate e distese di synth, farfisa e korg creano un quadro sonoro tanto vario quanto particolareggiato, “Hard Level Force” è puro soudscape realizzato con sonorità kraut e drone ma rigenerate in nuovi contesti e “Doubler Stones” fa incontrare, anzi scontrare, meccanizzazione e digitalizzazione, come se si cercasse di simulare i suoni digitali con automazioni rudimentali.

Craven Faults resta, almeno per ora, un’entità quasi spettrale, uno spirito invisibile che si manifesta in suoni vintage aggiornati per orecchie abituate all’elettronica più pura e liquida. Girano anche congetture su chi sia in realtà, ma poco importa saperlo. Basta sapere che insieme a Polypores, Field Lines Cartographer, Concretism e Pye Corner Audio, Craven Faults è uno dei nomi degli alfieri di una nuova scena elettronica britannica, una scena che ricucina ricette del passato per farne un futuro.