
Ana Rita de Melo Alves è una polistrumentista, poetessa e produttrice portoghese, cresciuta a Porto ora di stanza a Londra, dove ha fondato la sua etichetta Demo Records, etichetta con la quale intende dare voce e visibilità a diverse esperienze DIY contemporanee, quelle che spesso vengono derubricate in modo un po’ affrettato e caotico come “bedroom pop.” Di questo mondo fa parte anche lei stessa, che sotto il moniker anrimeal (dalle prime lettere di nome e cognome) ha realizzato questo stupendo viaggio tra elettronica, rumori, folk e voce. In realtà questo disco Ana Rita l’aveva già realizzato quasi di nascosto molto tempo addietro, e lasciato lì a decantare, almeno fino al Primo Lockdown, quando ha avuto modo di presentarlo in streaming live per Quarantunes. Fu allora che Ana Rita de Melo Alves decise di diventare anrimeal, di chiamare quel disco Could Divine e di caricarlo su Bandcamp come name-your-price. A novembre una collaborazione tra la sua Demo Records e Crossness Records ha dato una realtà fisica al disco, che viene distribuito in streaming e stampato su vinile.
Ispirato anche dal post-minimalismo e dai lavori di Eva Hesse, Could Divine è un altro tassello in quel nuovo approccio compositivo che mescola folk, elettronica e avanguardia che negli ultimi anni è stato definito da dischi come Ekstasis e Tragedy di Julia Holter, dal percorso di Eartheater, da Wabi-sabi di Cross Record e da Commotus di Lucrecia Dalt. Ana Alves lo ha chiamato “computer folk,” etichetta che forse sottolinea benissimo le due spine dorsali che sorreggono Could Divine: quella elettronica, fatta di samples, di loop e di musica generata e processata al computer, e quella folk, più tradizionale, umana, legata più alla voce come mezzo espressivo che si fa veicolo di contenuti poetici. A esempi quasi cantautoriali, come la delicata e scarna “Elegy for an Empty Coffin,” un testo recitato su pochi rintocchi di pianoforte che spezzo un tappeto di field recordings, o “I am Not” si affiancano esempi più sperimentali come “Headrest,” che pur essendo in tutto e per tutto un pezzo folk, si lascia deformare da massicce dosi di musica concreta e di manipolazioni digitali. La title-track, “Could Divine,” violenta quella base folk con massicci interventi glitch, fino quasi a raggiungere le decostruzioni di sample di dorinne_muraille e sfociare della funerea “Vertical,” sorta di canto oscuro che parte dai primi passi icastici e minimali di Cat Power per aprirsi al nuovo canone cantautoriale sperimentale di Juana Molina, o anche di una FKA Twigs in versione acustica.
Per quanto il folk sia antico e derivi gran parte della sua efficacia proprio dalla tradizione, non è esente dal bisogno di essere rinnovato, riscritto, anche in forme che quasi ne violentano l’essenza intima, ma che possono renderlo ancora vivo e comunicativo. Così anrimeal condivide lo stesso progetto di Eartheater di ibridazione di classico e futuristico, o anche di precursori che a inizio del nuovo millennio hanno iniziato a fare “pop” con un’attitudine ambient, come James Blake, quasi una profanazione di un tempio, ma una profanazione necessaria per far tornare quel tempio una casa vivibile e abitabile.