
Il duo franco-americano Pearl & The Oyster concludono la loro trilogia della Florida in California. Già perché Juliette Pearl Davis e Joachim Polack si sono ora trasferiti dall’assolata Florida all’assolata Los Angeles, passando dal Sunshine State al Golden State, ma non è cambiato niente: Flowerland continua il discorso iniziato con i pur eccellenti w/ Pearl & The Oysters e Canned Music, e anzi, forse lo migliora, lima e affina quanto basta il delizioso cocktail di bossa-nova e pop francese anni ’60, fino a lanciarsi in un omaggio con una cover di “Baby” di Caetano Veloso.
Fin dall’apertura di “Soft Science,” uscito come secondo singolo e collaborazione con Kuo-Hung Tseng dei taiwanesi Sunset Rollercaster, si respirano a pieni polmoni le ariose sonorità pastellose dei sixties, e già “Bit Valley” ti porta in un cocktail bar sul mare a fine stagione, tra una bossa nova movimentata e un pop-lounge sinuoso. Le stesse atmosfere che erano già state evocate col primo singolo, “Treasure Island” dove si descrive un’isola dove tutto è color pastello, con uccelli variopinti che si asciugano le piume al sole mentre l’oceano ti ipnotizza sotto nuvole color indaco a suon di calipso.
Ma sul disco c’è molto di più: su “Flowerland” fa capolino una leggera inquietudine, un’astronauta (?) perde il controllo della sua navicella e precipita nella terra dei fiori del titolo, “another Planet to explore, another star, another core,” ma niente di preoccupante, perché Juliette si affretta a cantare “I’m far away but it’s alright, I guess I’m staying alright.” Quella Flowerland è probabilmente un riferimento alla California, nuova casa del duo, e tutto il disco è stato scritto e realizzato già prima del covid, ma a posteriori è leggibile come il miglior tentativo di esorcizzare i diciotto mesi di niente condiviso appena passati.
Una leggere punta di inquietudine filtra tra la malinconica “Evening Sun,” con un testo blandamente distopico che ribalta il tropo di “endless Summer” fino a mostrare l’angoscia nascosta in giorni in cui il sole sembra davvero non voler mai tramontare. “Osteroid Asteroid” sembra evocare gli Stereolab se non i Kraftwerk, ma è un falso indizio: nella musica di Pearl & The Oysters non c’è spazio per loop, ritmi motorik ossessivi e ombre. Se mai c’è l’attitudine giocosa con cui Isabelle Antene mescolava bossa-nova e pop europeo, sia da sola che con gli Antene, o lo stesso approccio divertito dei recenti Fievel is Galuque. Quella lieve traccia di ombra viene cancellata subito da pezzi caldi, solari e accesi come “Wizzo,” “Crocodile” e la carnevalesca “Rocket Show,” o dalla dolce malinconia di “Satellite” e del finale “Flamingo Sketches.”
Flowerland è un invito a lasciarci dietro oscurità e malumori e a immergerci completamente in un mondo luminoso, solare, pastelloso, dove ci sono i colori e i suoni che avevamo perso e che un po’ tutti abbiamo bisogno di ritrovare.