Lia Kohl, ha suonato almeno in tre dei dischi più belli e interessanti degli ultimi anni — A softer focus di Claire Rousay, Mouth Full of Glass di Macie Stewart e In These Times di Makaya McCraven, passando da ambient, folk e jazz con la disinvoltura, l’eclettismo e la propensione verso sperimentazione e contaminazione che ci si aspetta legittimamente da chi vive a Chicago, e forse ancor di più da chi a Chicago ci arriva partendo da San Francisco. Su Too Small to Be a Plain, uscito l’anno scorso per Shinkoyo/Artist Pool, Lia Kohl ha mostrato il suo lato più sperimentale e su Untitled Radio (futile, fertile) (Longform Editions) ha dato prova delle sue capacità di artista multimediale capace di scolpire suoni da qualunque materiale trovi a portata di mano. Lia Kohl ha realizzato il nuovo The Ceiling Reposes (American Dreams Records) a partire da materiale che ha registrato durante un’art residence a Vashon Island, WA, dove, da brava violoncellista, si era portata dietro solo una radio, qualche synth e un piccolo registratore, più qualche spezzone registrato poco prima a New Orleans. Una grande mole di frammenti di trasmissioni radio di varia natura e field-recordings è il filato da ordire e tramare mediante il violoncello e altri strumenti in un tessuto a mosaico, apparentemente caotico, ma intimamente denso di significato. È quello che Lia Kohl ha già sperimentato più volte dal vivo, dove la vediamo innescare un dialogo tra violoncello e radio, e che è soprattutto un dialogo tra diverse parti della sua stessa coscienza creativa. In un’intervista, parlando del suo processo creativo, ha confessato di aver “trovato modi di collaborare con me stessa, di create un’orchestra artificiale di diverse me, di me passati, me futuri. A volte questo significa creare in risposta a qualcosa che ho registrato il giorno precedente, altre volte significa usare uno strumento o un parametro che produca un elemento casuale al quale posso rispondere—per esempio la radio.”

Probabilmente Lia Kohl ha iniziato a pensare a questo suo ultimo disco quando ha visitato la mostra della mail art di Ray Johnson all’Art Institute: in un’intervista di qualche tempo fa confessa che in quei collage, in quell’arte miniaturizzata e frammentata c’era una “qualità effimera” che la affascinava.  Parlando di musica realizzata a partire da trasmissioni radio, poi, è inevitabile pensare a John Cage, altra chiara fonte di ispirazione, e soprattutto le sue conversazione sull’origine delle idee con Morton Feldman. Per Feldman la casualità è un’elemento di intrusione nella realtà, per Cage, quelle intrusioni vanno invece sotto il nome di cultura. I due fanno specificatamente riferimento alle prime radio che trasmettevano musica, notiziari, programmi vari a ogni ora e erano a portata di orecchio per tutti, diventando per molti una sorta di rumore privo di significato. A Cage invece, che si è abituato a quei rumori esattamente come gli uomini primitivi si erano abituati a rumori naturali e ambientali, sembrava quasi di sentire un suo pezzo, musica che lui stesso aveva composto a partire da onde e frequenze.  Per Cage si trattava di arrendersi alla persistenza del rumore, farvi attenzione e trasformare quel rumore in suono che diventasse suono ambientale, magari non veicolante un qualche significato profondo, ma in armonia col mondo da cui era generato. Lo stesso fa Lia Kohl nelle sette tracce che compongono The Ceiling Reposes, un mosaico di frasi, suoni e rumori. Mosaico a partire dalla parte testuale: il titolo è ripreso da una poesia di William Jay Smith (Touch the Air Softly: “I’ll love you ’til windows are all of a room; and the table is laid, and the table is bare, and the ceiling reposes on bottomless air”), i titoli delle sette tracce sono stati dati dalla poeta Elizabeth Metzger e cuciti insieme formano quasi una frase di senso compiuto. Di più: “sit on the floor and wait for storms” è costruita su frammenti rubati a una previsione meteo alla radio, successivamente Lia Kohl ha chiesto a alcuni scrittori e artisti amici (tra cui Macie Stewart e Karima Walker) di interpolare quelle parole con delle loro parole per costruire una specie di found poetry, e il risultato è immortalato in un libretto allegato al disco. Le altre tracce mescolano sacro e profano, suoni e rumori, ambiente acustico e interventi sintetici, e lo fanno al punto da mescolarsi e confondere le idee, tanto che  a un certo punto quasi non si riesce a capire se le parti suonate siano state suonate per il disco o se provengono da qualche trasmissione radio. Su “when glass is there, and water” un convegno di droni partorisce un dialogo tra synth e violoncello che a sua volta dialoga col rumore di una ferrovia che contrappunta un canto di uccelli a cui risponde un gallo, la bellissima e intensa “or things maybe dropping” inizia con un pattern percussivo su rumori di acqua che scorre per arricchirsi di droni, interferenze, fiati, una batteria che termina con un pezzo per pianoforte che potrebbe essere Chopin o Debussy. Ancor più disorientante il secondo singolo “the moment a zipper,” che forse è la traccia che più di ogni altra mostra la ricchezza caotica e onnicomprensiva del mondo reso dalle radio, dove possono convivere sermoni, notiziari, pubblicità, canzoni pop e, in questo caso, bambini che pregano nel Venerdì Santo. 

Lia Kohl cuce insieme sacro e profano, mondano e sintetico, suoni ambientali, droni, rumori casuali e suoni organizzati e riesce a collegare un minestrone di esperienze in un tessuto omogeno, e dimostra così che come ogni oggetto può diventare arte, tutti i suoni possono diventare musica se tenuti in armonia col mondo che li genera.
Capolavoro.